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Caffè Gioia Replica le accuse di Report di Rai 3

Questo è il post di Caffè Gioia vuole rispondere alle accuse del programma Report sull’espresso napoletano

Caffè Gioia Espresso Italiano since 1949

Dopo aver visto il servizio di #Report sul caffè ed aver letto tantissimi commenti pro e contro le analisi fatte dall’esperto Andrej Godina, essendo la nostra, un’azienda campana che da settant’anni e tre generazioni tramanda una tradizione di lavorazione all’italiana del caffè (se nella scala internazionale di tostatura è prevista l’ ITALIAN ROAST ci sarà un motivo), ci sentiamo chiamati in causa e ci sembra giusto dire la nostra.
L’espresso italiano è il caffè per eccellenza, riconosciuto nel mondo come un’eccellenza MADE IN ITALY, così come la pizza e la pasta, mentre gli specialty non hanno nulla a che vedere con la nostra tradizione ed infatti il più delle volte vengono proposti con dei metodi di estrazione alternativi all’espresso. Con ciò non vogliamo dire che sia migliore l’espresso italiano “tradizionale”, rispetto ai più pregiati specialty, ma solo che la nostra tradizione porta le nostre aziende a scegliere varieta di caffè differenti e a lavorarle all’italiana. Nel servizio di Report però nessuno ha detto che ci sono anche dei pessimi caffè arabica e degli ottimi caffè robusta e che le aziende serie campane selezionano e lavorano con molta meticolosità le migliori robusta prodotte per esempio in Tanzania o in India (ci teniamo a sottolineare, aziende serie, non a quelle che usano i caffe di scarto o pieni di difetti…visti i prezzi che si sentono in giro!) e sentire dire nel servizio che “la robusta non è caffè”, è un’offesa ad un’intero comparto produttivo e ad una tradizione campana ed italiana.
Detto ciò ci sembra anche giusto chiarire che molte aziende campane, tra cui la nostra, non propongono solo miscele di varietà robusta, ma hanno in gamma anche miscele con diverse percentuali di arabica e tutte propongono anche dei 100% arabica; sembrerà strano a molti, ma noi proponiamo anche un monorigine arabica peruviano d’altura e a prova di ciò siamo stati i primi in Europa ad aver ottenuto l’uso del marchio d’origine Cafès del Perù. Concludendo pensiamo che prima di tutto non è giusto demonizzare la varietà robusta, secondo che non è un problema di varietà ma di qualità (cit. di Davide Cobelli), terzo che ognuno di noi ha un gusto differente e non sindacabile per ciò che preferisce bere o mangiare.

Vi lasciamo con un articolo, che secondo noi sintetizza al meglio tutta la questione, dal titolo: Breve riflessione sulla possibile convivenza dei differenti gusti del Caffè di Mauro Illiano.

“Da tantissimi anni il mondo del Caffè si divide tra consumatori di tazzine di qualità Arabica, consumatori di Robusta e consumatori di Blend delle due qualità. Solo da alcuni anni, invece, l’universo del caffè ha visto nascere una nuova realtà, vale a dire quella degli Specialty Coffee, sottocategoria luxury della qualità Arabica.
Lungi da me affermare quale sia la posizione che ogni appassionato debba assumere, in ossequio al perennemente valido principio secondo cui “de gustibus non est disputantum”, intendo fare un minimo di chiarezza in merito alla diversità organolettica e geografica delle possibili varianti gustative. A tal proposito è bene partire proprio da questa ultima categoria di caffè. Un Caffè Specialty altro non è che un caffè di qualità Arabica che la SCAE ora SCAA (Specialty Coffee Association of America), ovvero l’associazione che studia e sorregge questa qualità di caffè, definisce di altissima qualità, tostato in modo da svilupparne al meglio il potenziale aromatico da tostatori professionisti e adeguatamente estratto. In buona sostanza trattasi di chicchi di caffè provenienti da precise aree geografiche del mondo in cui, secondo l’opinione della SCAA, vi sono le condizioni climatiche per ottenere i migliori aromi. Tali chicchi, una volta raccolti, vengono lavorati secondo rigidi protocolli afferenti la torrefazione, la conservazione e l’estrazione. Il risultato finale è un caffè che, ove adeguatamente rispettoso dei parametri di qualità fissati dall’Associazione, dovrebbe ottenere un gradimento alto secondo gli standard qualitativi fissati dalla stessa Associazione. I caffè preparati con questa categoria di chicchi vengo preparati spesso con chicchi mono-origine, ovvero con caffè proveniente da una singola area geografica, tuttavia talvolta vengono proposti anche in blend. La tostatura, lasciata all’interpretazione del singolo Roaster, spesso è molto leggera ed improntata alla conservazione delle qualità aromatiche della singola varietà. Il tempo di preparazione di un caffè speciality è abbastanza lungo, poiché i chicchi vengono solitamente pesati, (e presto scopriremo perché), poi si passa alla macinazione fatta al momento, dunque il caffè viene pressato ed estratto. Il costo dell’assaggio è decisamente alto, vale a dire da un minimo di 1,5 € fino ad un massimo di 5 €. Anche il tempo della degustazione è diverso dalla classica tazzina di caffè consumata in un bar italiano. In considerazione delle tante variabili percepibili al naso come al palato, potremmo definire questi caffè come “da meditazione”, da sorseggiare lentamente, concentrandosi sulle sue sfumature e sulle sue versioni. Questa qualità di caffè si consuma quasi unicamente senza zucchero.
Venendo alla qualità Arabica, la prima cosa che si apprende sbirciano in ogni manuale è che questa si compone di 44 cromosomi, ovvero il doppio della qualità robusta che, per contro, contiene un livello quasi doppio di caffeina rispetto all’Arabica.
La qualità arabica rappresenta circa il 70% del caffè prodotto nel mondo e viene coltivata quasi esclusivamente nelle seguenti zone del mondo: America del sud, America Centrale, Kenya, Etiopia ed Est Africa.
Questa varietà cresce al meglio a quote molto elevate, tra i 600 ed i 2.000 metri di altitudine, necessita di piogge, e predilige i terreni ricchi di minerali nonché di origine vulcanica.
Il contenuto di caffeina varia dallo 0,9% all’1,7%.
La tostatura di questa varietà dipende dal singolo Torrefattore e dalle differenti linee di produzione, nonché dal gusto così come radicato nelle singole zone del mondo. Napoli, ad esempio, è famosa per la tostatura più spinta. I caffè preparati con la varietà Arabica, solitamente, sono più amabili perché contengono più zuccheri, e meno amari per il minor contenuto di caffeina. Essi hanno inoltre un corpo sottile, e presentano una crema di un color rossiccio, molto fitta e spesso compatta. Il prezzo di un caffè preparato con miscela arabica solitamente si aggira tra 1 € ed 1,50 € a seconda della qualità utilizzata. Questo caffè viene consumato con l’aggiunta di un po’ di zucchero anche se non mancano appassionati che lo preferiscono al naturale.
La Robusta, la miscela più criticata e denigrata, invece, è solitamente prodotta dall’Africa dell’ovest (Camerun, Costa d’avorio etc) e in Estremo Oriente (Vietnam e Indonesia per primi). Questa qualità cresce a quote più basse rispetto all’Arabica e in condizioni di elevata umidità.
Il contenuto di caffeina varia dall’1,6% al 3%.
La tostatura dipende ancora una volta dalla scelta del singolo torrefattore così come dalle diverse linee di produzione, nonché dei consumatori. A Napoli, ad esempio, tradizionalmente anche la robusta si tende a tostare in modo decisamente più scuro.
I caffè preparati con la varietà Robusta, solitamente, presentano un gusto decisamente più amaro per via del maggiore contenuto di caffeina ed ovviamente meno dolce. Per contro, questi caffè presentano una grande corposità, con una crema quasi masticabile, molto più densa e con un colore spesso più scuro. Il prezzo di un caffè preparato con miscela robusta solitamente si aggira tra 0,80 € ed 1 € a seconda della qualità utilizzata. Questo caffè si consuma quasi sempre con l’aggiunta di zucchero, elemento in grado di contrastare l’amarezza naturale di questa varietà e bilanciare il gusto finale.
Dopo questa brevissima fotografia delle caratteristiche generali delle diverse qualità/categorie più consumate, direi che è il caso di fare una altrettanto breve riflessione sull’importanza del gusto e sulla sua formazione.
Negli ultimi anni si è assistiti ad una grande confusione nel mondo del caffè legata, fondamentalmente, alla diffusione dei suddetti Specialty Coffee. Tale innovazione, come spesso accade per tutto ciò che passa per le mani dell’uomo, ha generato da un lato una facile esaltazione, dall’altro la conseguente ed ingiusta rinnegazione di tutto quanto fatto fino a quel momento dalla scuola tradizionale.
Ma il caffè è solo l’ultima preparazione, in termini cronologici, ad affrontare l’annoso problema dello scontro tra modernità e tradizione. Prima del caffè è capitato al vino (chi delle vigne s’intende ben si ricorderà della “moda” dei vini biodinamici che a un tratto sembravano incarnare la “verità”, così vicina a sé eppure sfuggita all’uomo da millenni), ma è capitato anche all’alta cucina (che alcuni anni or sono ha visto letteralmente esplodere e poi disintegrarsi la moda della biomolecolarità, così affascinante eppure così evanescente), e potremmo continuare elencando i diversi fenomeni passeggeri che hanno attraversato il mondo enogastronomico.
Ciò che intendo dire è che se l’esperienza ha un significato, come è vero che ne ha, allora bisognerebbe trarre spunto dalle precedenti esperienze prima di darsi alla pazza gioia solo perché abbiamo scoperto un nuovo modo di bere il caffè e, soprattutto, non bisognerebbe mai dimenticare la storia di ogni abitudine, il percorso secondo cui una tradizione si è radicata, e la sua capacità di reggere il peso degli anni.
Un prodotto di culto va ben oltre i confini del palato, esso attraversa l’anima oltre il corpo di chi ne gusta i pregi. Bere un Tè alla Menta a Marrakech, sorseggiare un Sidro a Oviedo o passeggiare tra le vigne di Vosne-Romanée con un calice di Pinot Noir, sono esperienze che nessun palato potrai mai raccontare a dovere. E ciò perché il piacere che si prova ad assaggiare una determinata specialità nel luogo in cui essa assurge al rango di idolo si arricchisce spesso di una serie di invisibili percezioni in grado di trasportare il degustatore in una dimensione aulica ed indescrivibile.
Specialty Coffee, Arabica, Robusta, perché volerne cavare un vincitore? Il mondo del palato è forse così piccolo da non poterle contenere all’unisono? Se un appassionato di robusta trova quel noir, l’amarezza, i sentori di cioccolato o liquirizia una ricchezza a cui non voler rinunciare, non gliene si può fare una colpa. Senza parlare della cremosità, della consistenza del caffè, parametri degni di assoluto rispetto, che possono, tecnicamente o semplicemente per un piacere tattile, far propendere per una qualità o l’altra. Allo stesso modo la dolcezza, la varietà di sentori al naso come al palato, l’eleganza alla vista, il suo bilanciamento, possono far innamorare un appassionato di arabica, senza che costui si debba sentire un traditore della robusta. Ed esattamente secondo lo stesso principio un purista dei sentori, esterrefatto dalle innumerevoli variazioni al naso di uno Specialty coffee, oppure della sua percettibile quanto fresca acidità al palato, è un appassionato di tutto rispetto.
Nel mondo della degustazione vi è solo una regola certa, ovvero l’imprescindibilità dal gusto personale. Con ciò non intendo destituire di fondamento il parere “tecnico” di chi fa della degustazione una professione o una missione, ma tuttavia riportare l’assaggio ad un livello unipersonale.
Un conto è, infatti, degustare al fine di descrivere, evidenziare difetti o pregi, altro conto è, invece, degustare per il “gusto” di farlo.
La prima azione, infatti, è un’operazione chirurgica, basata sulla destrutturazione di ogni elemento valutabile e sulla ristrutturazione degli stessi elementi fino ad esprimere un giudizio tecnico complessivo.
La seconda operazione, invece, assomiglia più ad una tela di un artista, dove ognuno è padrone di usare i colori che vuole, libero di interpretare in uno spazio in cui non vi sono schemi da rispettare, ma solo emozioni da provare.
A ognuno il suo caffè, a ognuno il suo gusto.”