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Buoni propositi per il nuovo anno

Il coronavirus potrebbe essere il nostro alibi perfetto. Veder fallire in poche settimane i buoni propositi dell’anno appena cominciato — maggior attività fisica, dimagrire, guadagnare di più — sarà solo un innocente esercizio di deresponsabilizzazione: le palestre sono chiuse, tappati in casa mangiamo come se non ci fosse un domani e le aziende tagliano o chiudono, altro che aumenti di stipendio. Se così fosse, questo articolo finirebbe qui. Ma invece il coronavirus potrebbe diventare il nostro miglior alleato per stilare, finalmente, un elenco di buoni propositi realistici e autentici, coerenti con il periodo che stiamo vivendo e con le risorse che abbiamo a disposizione. Se un giorno questo dolore ci sarà stato utile, per parafrasare un bel romanzo di Peter Cameron, quel giorno è oggi, è adesso, è ora che dobbiamo definire per cosa vale la pena spendere le nostre energie.

Desiderare ciò che è davvero importante
The Atlantic il 31 dicembre ha pubblicato un articolo in cui il sociologo Arthur C. Brooks, docente alla Harvard Business School, spiega perché finora le nostre migliori intenzioni di inizio anno siano sempre naufragate (solo il 6 per cento delle persone riesce a mantenerle salde): fallivano perché non erano connesse a ciò che davvero ci rende felici. Senza voler essere troppo filosofici, basta un esempio: iscriversi in palestra pensando che «dopo» saremo più felici è ben diverso dall’iscriversi in palestra perché farlo ci rende felici. Secondo Brooks sono sbagliate le motivazioni, non i desideri. Ma allora partiamo avvantaggiati, in questo gennaio 2021. Perché se una cosa il 2020 ce l’ha insegnata (speriamo) è capire cosa è importante e cosa non lo è. Per noi, non per gli altri.

Sapersi ascoltare
«Viviamo in una società che educa alle regole e non all’ascolto. Abbiamo perso la capacità di ascoltarci e di sentire quelle che sono le nostre esigenze vere, ecco perché la maggior parte delle liste non ci appartiene», interviene Daniel Lumera, autore di bestseller sulla consapevolezza: l’ultimo, pubblicato da Mondadori e firmato con la scienziata di Harvard Immaculata De Vivo, è Biologia della gentilezza. Per lui non si può creare nessuna lista di buoni propositi senza prima porsi tre domande: «Quali sono stati gli eventi più significativi dell’anno appena chiuso, sia in termini di dolore che di amore? Cosa ho capito da questi eventi? Sono capace di applicare la lezione che ho imparato?». Il suo ragionamento non deve spaventare o allontanare dalla concretezza. Per fortuna, a dispetto di qualunque dolore, continueremo a desiderare di comprare una casa più grande, di scaldare le relazioni con le persone a cui vogliamo bene, di sentirci più in forma e di fare cose che ci rallegrano. In questi piccoli esercizi di felicità quotidiana, le nostre parole d’ordine devono essere due: «Disciplina e abitudine». Va avanti Lumera: «Se io decido di voler fare attività fisica, per esempio correre, mi aiuterà lasciare le scarpette in bagno, in modo che la mattina, dopo che mi sono lavato i denti, posso uscire e fare la mia corsa. Creo un’abitudine, un segnale e una ritualità».

La regola della gentilezza
Il magazine Quartz ha dato una serie di consigli pratici per non perdersi nel sottile passaggio tra risoluzioni e obiettivi: le prime sono vaghe, i secondi implicano un piano d’azione. Definiti questi ultimi, bisogna creare le condizioni migliori per realizzarli. Vogliamo perdere peso? Evitiamo di tenere in casa scatole di cioccolatini e chiediamo la collaborazione dei familiari (sentir sfornare biscotti dopo aver mangiato uno yogurt non aiuta…). Occorre poi la giusta misura: se si vuole cominciare a correre per sentirsi dinamici (più esercizio fisico è desiderato dalla metà degli americani) è meglio partire con mezz’ora di running, anziché 100 flessioni al risveglio. La regola più importante resta una: la gentilezza. Verso gli altri, certo. Ma soprattutto verso se stessi. Senza, non si va lontano.
di elvira serra
fonte: corriere.it